Ritiro Spirituale

Ritiro Spirituale

CON SAN FRANCESCO ALLA
SCOPERTA DI CRISTO POVERO
Una sintesi del ritiro spirituale con il vescovo a Bocca di Magra
Il monastero Santa Croce di Bocca di Magra è sempre il luogo perfetto per il ritiro spirituale che il Vescovo Tardelli anche quest’anno ha predicato alle aggregazioni laicali della Diocesi. Il luogo è meraviglioso, carico di spiritualità, di silenzio e preghiere, ma anche di bellezze naturali e vedute impareggiabili, di profumi intensi e colori delicati; con il rumore del mare che accompagna il riposo
notturno!
È dunque il luogo ideale per uno degli atteggiamenti fondamentali indicati dal vescovo per questo ritiro: il silenzio, interiore ed esteriore, un “luogo privilegiato” per l’ascolto di Dio; non tanto perché le vicende della quotidianità non abbiano valore in sé, quanto perché talvolta occorre allontanarsene per fare
come anche Gesù faceva: cercare un luogo in disparte e dialogare con il Padre.
Anche noi ci siamo allontanati dalla quotidianità e dalla famiglia, nella convinzione che questi pochi giorni – da domenica 28 aprile a martedì 1 maggio u.s. – siano un dono, un tempo di grazia nei quali Dio ci può cambiare, perché possiamo portare frutti anche nella nostra vita una volta tornati a casa.
Il tema del ritiro era il seguente: «Alla sequela di Gesù povero». Il Vescovo ci introdotto alla meditazione con un celebre brano della lettera ai Filippesi di Paolo (Fil 2-5,11): «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce».
In San Francesco d’Assisi il vescovo Tardelli ci ha indicato l’esempio più luminoso per illustrare cosa significhi vivere alla sequela di Gesù povero, innamorarsi di Lui, lasciarsi guidare da Lui. Chi guarda Francesco impara a lasciarsi cambiare la vita, alla ricerca continua di Colui che già ci ha trovato.
La nascita di Gesù è un segno grande di povertà e umiltà e Francesco ci si è soffermato talmente a fondo che ha ideato il Presepe vivente di Greccio.
Francesco, infatti, «meditava continuamente le parole del Signore e non perdeva mai di vista le sue opere, ma soprattutto l’umiltà dell’Incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro». (Tommaso da Celano, Vita Prima, cap. 30, 84). Una nascita nella povertà – ci ha ricordato il vescovo – che è
segno di uno stile di vita povero. Molto probabilmente Gesù ha lavorato con il padre e condotto una vita modesta e sobria, senza lussi. Con l’inizio della vita pubblica prende a vivere come un pellegrino, sempre in viaggio, ospite di questo e di quello, sostenuto dalla carità di pie donne (Luca 8-1,4). Una vita modesta, senza potere: Gesù agli occhi del mondo non conta nulla e non ha nessuno che lo
difenda; per sua scelta fa a meno di esercitare il potere e accetta di non contare niente, egli è «mite ed umile di cuore» ed è venuto nel mondo «non per essere servito ma per servire» (Mt 20,28).
Sbaglieremmo però, se considerassimo la povertà di Gesù solo secondo un aspetto materiale o di potere; perché in realtà la povertà vera e profonda è la povertà di sé, la rinuncia a se stesso e l’abbandono totale nelle mani del Padre. La volontà di Gesù – ci ha ricordato mons. Tardelli – è assorbita completamente da quella del Padre al punto che Egli vuole ciò che vuole il Padre. La povertà materiale e di potere è solo il segno esteriore della povertà interiore che rappresenta l’amore per il Padre e per noi; è abbandono al
Padre che non vuole che alcuno si perda e il calice amaro dell’orto dei Getsemani; è il calice pieno dei nostri peccati che Cristo accetta di bere sino in fondo per amore nostro.
Ma cosa significa seguire Gesù povero?
Il Vescovo ci ha indicato quattro modi: il primo è capire che la povertà è una  beatitudine; il secondo è riconoscere quali sono le nostre false ricchezze,  terzo fare i conti con le nostre povertà e ultimo, ma non meno importante, servire i poveri.
Francesco ci indica la via che dobbiamo seguire con il discernimento guidato dallo Spirito Santo. Per il poverello di Assisi, infatti, abbracciare Madonna Povertà è stata la strada della beatitudine, quella che gli ha ispirato il Cantico delle Creature, che non è il canto non di uno sconfitto, ma di un uomo felice.
Come Francesco ha abbandonato le false ricchezze anche noi possiamo farlo, riconoscendo le persone o le realtà che prendono e trattengono il nostro cuore, allontanandolo dal vero amore che ci rende liberi: denaro, prestigio, posizione sociale e culturale, affetti. «Se mi togliessero tutto questo sarei forse perduto?». È la domanda che il vescovo ci ha invitato a rivolgerci più spesso, riconoscendo le nostre povertà. Questo riconoscimento permette di aprirci a Dio, di abbracciare Cristo povero sentendosi sorretti da Lui.
Il Vescovo, infine, ci ha anche ricordato l’importanza di servire i poveri. Ancora una volta Francesco d’Assisi ci insegna: l’abbraccio con il lebbroso è un  atto di misericordia mosso dalla Grazia, compiuto senza paura, con un atteggiamento di compassione, ma anche di contemplazione di Gesù povero e
desiderio di partecipazione alla sua vita. Il gesto di Francesco riconosce nelle piaghe dei poveri quelle di Gesù: è consapevolezza che tutti abbiamo bisogno della Misericordia di Dio.
«Domandiamoci – ha concluso il Vescovo-, se stiamo servendo i poveri e come lo facciamo; se siamo poveri ed innamorati di Gesù povero, se siamo capaci di stare accanto ai nostri fratelli poveri con quella compassione che Dio mostra per noi. Gesù non è accanto ai poveri ponendosi dall’alto in basso, ma in
una posizione fatta di partecipazione e condivisione. Gesù si è fatto compagno di strada e cerca il rinnovamento profondo di ogni uomo, a cui va incontro con lo scopo di farlo ricco del Suo amore e di quello del Padre, per servire i poveri e non servirsi di loro».
Chiara Geri Romagnani (Centro Famiglia Sant’Anna)

10 maggio 2018, alberto-bertini