Ricordo Don Fernando Grazzini: Omelia di don Ugo

Ricordo Don Fernando Grazzini: Omelia di don Ugo

Don Fernando: uno di noi

In ricordo di don Fernando Grazzini.

Prima ancora del parroco se ne va uno di noi, uno di famiglia. Ed è la sensazione che subito si respira accanto al suo corpo, esposto nella sua chiesa, la Pieve di Sant’Andrea, dove per oltre cinquant’anni ha svolto il ministero sacerdotale, dove ha continuato a pregare e abitare anche dopo la rinuncia all’incarico fino ai suoi ultimi giorni. «Mancherà a molti come fratello, padre, zio, nonno, pastore e amico degli ultimi». Dal Congo don Celestin Kanyambiriri che ha accompagnato la parrocchia per alcuni anni accanto a don Fernando, ci consegna queste parole che credo esprimano bene i sentimenti di molti. Tanti si sono accostati a lui in chiesa per un ultimo saluto prima delle esequie. «Devo ancora dirgli due o tre cose..; Fernando, siamo qui..; dobbiamo ancora fare un discorsino..». E nel via vai degli ultimi saluti, si ritrova il clima di famiglia, di casa, che don Grazzini ha saputo consegnare alla sua parrocchia. Si misura soprattutto, la sua qualità di pastore. L’accompagnamento e l’ascolto che tanto si sentono rammentare in ambito ecclesiale don Fernando li ha vissuti costantemente nel lungo corso del suo ministero. In Chiesa -qualcuno lo ha ricordato- le parole che più tornavano sulla bocca di don Fernando erano “amore”, “speranza”, “bontà”, intercalate dal suo discorrere mite, dolce, meditativo. E il suo parlare era il riflesso limpido, senza ombre, di un sacerdozio vissuto in semplicità, ma lieto e umanissimo. «È bello – mi diceva una volta – essere prete.. perché poi si incontra tanta gente: i bambini, gli anziani, gli sposi, i malati..». Ora ce lo rivedo, accanto ai bambini e mi ci ricordo anche io. Era bello quando veniva a trovarci al catechismo per insegnarci a pregare o ad accogliere con dolcezza la misericordia di Dio nella confessione; era bello, alla messa, quando stando lì uno si sentiva proprio a casa. Tra gli anziani e i malati tanti se lo ricordano, non soltanto per le sue visite frequenti e discrete, ma anche per l’attenzione personale che aveva per ciascuno. Di famiglie e di sposi Fernando ne ha accompagnati parecchi, senza dimenticare nessuno. Per loro ha celebrato tanti anni la festa della famiglia, ricordando anniversari di matrimonio e radunando coppie giovani e più attempate. Tutti se lo ricordano accanto ai poveri, nell’andirivieni continuo tra la chiesa e la sacrestia. Don Fernando non faceva differenze, sempre pronto ad accogliere e soprattutto ad ascoltare. «O te? Via, raccontami un po’…». Don Fernando li prendeva sottobraccio e se li portava dietro raccogliendo le storie e le miserie di tanta umanità. Me lo ricordo bene in ascolto paziente di chi esponeva le proprie fatiche o necessità sotto il pulpito di Giovanni Pisano. La bellezza del pulpito parlava dimessa accanto a quella della carità. Don Fernando sapeva di dover gestire un patrimonio artistico senza paragoni che con spirito caparbio e senza troppi strombazzi ha custodito e poco a poco valorizzato e restaurato. A cominciare dalla chiesa di Santa Maria a Ripalta, dove per anni ha celebrato la festa del Crocifisso e che, più recentemente, rese disponibile per le celebrazioni della chiesa ortodossa. Don Fernando, anche impegnandosi economicamente in prima persona, ha provveduto a far restaurare e riaprire al culto la Chiesa del Carmine, dove -dopo decenni di chiusura- ha riproposto la festa della Madonna del Carmelo; si è preso cura della chiesa di San Filippo e, in ultimo, ha guidato il rifacimento della Compagnia adiacente alla Pieve. «È morto come ha vissuto», mi diceva qualcuno guardando il suo corpo ormai consumato nel fisico: «Si è consumato tutto per la gente». Tutto per gli altri e poco attento per sé, don Fernando non tratteneva nulla. Tutti conoscono la sua modesta condotta di vita e sanno che il suo lavoro di parroco è stato umile e operoso, assolutamente privo di ogni desiderio di affermazione e autopromozione. Eppure a don Grazzini non mancavano acutezza di spirito e battute anche salaci, né la testardaggine e il far tutto da sé, più per non disturbare o dar noia che altro. «Davvero è una gioia essere prete» mi diceva don Fernando; un prete tra la gente e per la gente che ha fatto proprie, senza false posture o ideologismi le parole del concilio vaticano II, in particolare quelle di Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Tra le generazione che ha accompagnato non è possibile trascurare quelle passate dal gruppo Scout Agesci PT 1, accolto e guidato da sempre. Con dedizione continua e apprezzamento sincero ha poi accolto e promosso la proposta cristiana scaturita nel cammino neocatecumenale vivendola in prima persona come presbitero.

Amico fraterno di Mons. Frosini, direttore di questo giornale, don Fernando ha vissuto sempre accanto a lui. Fernando era l’amico «con cui sono cresciuto e ho vissuto  – per usare parole di Frosini scritte in altra occasione – lo stesso sacerdozio in comunione di sentimenti, di sogni e di speranze. Insieme abbiamo vissuto i tremendi atti della guerra e della ricostruzione post-bellica, ci siamo accesi insieme di entusiasmo per il concilio vaticano II, abbiamo sperato insieme quel rinnovamento che tutti attendevamo. Un grande esempio per il presbiterio diocesano  che farebbe male a dimenticare, senza farne tesoro, la lezione che egli ci lascia».

Don Ugo Feraci

23 novembre 2018, alberto-bertini